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Mario Ferrante

Mario Ferrante nasce a Roma il 16 novembre del 1957. Compie i suoi primi passi di avvicinamento all’arte e alla pittura con una serie di collage materici e di graffiti. Frantuma gessetti colorati e la grafite delle matite rinvenute in casa per illustrare i libri di fiabe dei fratelli. Sono opere già di grande suggestione naïf.

Nel 1961 la famiglia Ferrante si trasferisce in Brasile. Inizia per il giovanissimo artista il momento elegiaco dell’osservazione. Sono gli anni dell’«eos» (ora azzurra) che per sempre accompagnerà i suoi lavori.

Dal 1967, a San Paolo, viene avviato dai genitori presso lo studio di un artista figurativo che lo inizia agli ideali classici. Dopo pochi anni, ancora giovanissimo, scopre la pittura ad olio. Il giovane Ferrante rivela un precoce talento nelle anatomie e nel velare. Nel 1970 la famiglia Ferrante fa ritorno in Italia. L’artista coltiva con determinazione la propria vocazione verso l’arte percorrendo un itinerario sperimentale attraverso la declinazione di un linguaggio figurativo di ricerca. Alla fine degli anni ‘70, dopo aver partecipato a numerose collettive, l’artista allestisce la sua prima personale presso il chiostro di Sant’Andrea delle Fratte, a Roma, alla quale fanno seguito numerose altre che celebrano il rinnovato spirito manierista. Gli anni ‘80 rappresentano per Ferrante il momento del grande fermento creativo, denso di lirismo e intuizioni. Nascono i ritratti ispirati dalla mitologia coniugata alle modulazioni cromatiche proprie del classicismo. Dal confronto con la felice tavolozza di Echaurren e Matta prendono vita le ricerche materiche con l’impiego di pietre, minerali vulcanici e composti di terre e vegetali. Ferrante inventa nuovi colori, nati dall’utilizzo di pigmenti naturali, con impasti sempre più personali. Nel 1985, il fortunato incontro con Salvatore Colantuoni gli consente di partecipare al programma Alitalia per l’Arte e di esporre nei V.I.P. lounge dei maggiori aeroporti del mondo. Le sue opere entrano a far parte dei più importanti legati artistici transoceanici, da New York a Rio de Janeiro. La popolarità improvvisa e la curiosità dello statement accademico lo immettono nell’indotto internazionale delle Gallerie. La ricerca avviata dall’artista fin dagli anni ‘90 approda alle composizioni dei cicli metropolitani: i dipinti coniugano accostamento antropico e informale a impianto paesaggistico tradizionale. Nasce l’esperienza di “parete” mutuata dagli artisti di «Corrente». Nel 2000 due importanti esposizioni a New York, sanciscono il definitivo riconoscimento dell’artista presso le major museali internazionali. La produzione di Ferrante è ormai un linguaggio in continua evoluzione, specie nella caratterizzazione del racconto. L’artista resta tuttavia defilato dalle lusinghe del mercato e dal dibattito, seguitando a dipingere, diradando le esposizioni e investendo sulla ricerca attraverso continui confronti con il Brasile e le infinite variazioni della luce a diverse latitudini. Nelle opere nate a cavallo con il nuovo millennio, il segno perde la geometria e la violenza, il colore assume una dimensione più intima e si opera una sorta di snellimento compositivo. Le quinte delle opere diventano reali e tangibili, la composizione assume un ordito prospettico.

Nel 2007 la casa dell’artista apre le porte alle scuole: gli studi di Roma e di Benevento diventano factories creative e laboratori didattici. Tra il 2013 e il 2014 vengono inaugurate quattro esposizioni, a Napoli (Ventre molle. Napoli come Rio), a Montecarlo, nel Principato di Monaco (Napoli come Rio. Facciamo che io ero), a Roma, presso la prestigiosa Sede dell’Ambasciata del Brasile in Italia (Oltre il cielo, l’aria e il cuore) e a Berlino, replicando l’allestimento della fortunatissima rassegna partenopea. 

Dal 2015, si impegna socialmente a sostegno di giovani artisti emergenti, con iniziative editoriali e contributi di saggistica e tutorial sull’arte, e nello stesso anno nasce il progetto «Officina Italiana delle Arti».

Il critico d’arte Claudio Strinati scrive di lui: «[…] Ora lavora in modo indefesso con la spatola, con cui segna e plasma la superficie, strumento di elaborazione e di scavo all'interno della materia, potentemente evocativo e descrittivo insieme. Insegue immagini di giovani che vagano e cercano le tracce di sé sulla riva del mare o in giro per la città. Ma, in sostanza, tutta la produzione di Ferrante è una poetica della consapevolezza e dell’auto-consapevolezza. L’artista incita, con le sue immagini, ad estrarre da noi stessi una sorta di intima essenza fatta di azione e contemplazione, di rabbia e di estasi, di ricordo doloso e di ardenti speranze. Non sarà retorica sostenere la tesi che Ferrante vorrebbe vedere e descrivere un’Umanità migliore, più sana e più degna di amore e rispetto».





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Testo di Michele Citro

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